di Giorgio Santambrogio
È bello farsi gli auguri. Perché così mettiamo in fila le priorità di quello che vogliamo davvero, la somma dei nostri bisogni più intimi e dei nostri desideri. E i desideri, credetemi, non dobbiamo tenerli nascosti, bisogna tirarli fuori, gridarli al vento delle passioni, altrimenti non si realizzeranno mai.
Per il prossimo anno auguro a tutti di trovare la pace che ci hanno brutalmente tolto. Auguro di stare bene, nell’intimità delle nostre case, insieme con la nostra famiglia e le persone a cui vogliamo bene e di farlo senza alcun “distanziamento sociale”. Auguro a tutti di leggere un buon libro, di fare almeno un bel viaggio e di lasciarsi travolgere dal sublime dell’arte che ci circonda. Auguro a tutti di trovare una mano che ti stringe forte quando hai bisogno. Auguro a tutti buon lavoro perché il lavoro è l’unica forma di libertà. E auguro al nostro Paese di riscoprire la sua meravigliosa bellezza e di andarne finalmente fiero.
Auguro a tutti, insomma, un buon futuro.
Ma cos’è il futuro? È una parola difficile da usare. Emanuele Pirella, uno dei pubblicitari e comunicatori più importanti del nostro Paese, l’uomo che ha saputo trovare le parole e le immagini per motivare l’acquisto di moltissimi dei prodotti che ancora oggi sono sui nostri scaffali, diceva che FUTURO era una parola ambigua. Se le cose vanno bene perché cambiare cercando il futuro? Meglio non rischiare. Se le cose al contrario vanno male, alimentare la speranza nel futuro può creare delusione e disillusione.
C’è un solo momento in cui il futuro diventa una parola meravigliosa. Quando siamo chiamati a costruirlo. A noi, in questo momento storico, è capitata l’occasione di potere e dovere accettare la sfida di costruire il futuro.
Futuro, insomma, è la vita che guarda in avanti e ci racconta quello che accadrà.
Da tanto tempo sappiamo che il nostro futuro dipende da noi.
Stiamo facendo tutto il possibile?