di Paolo Marcesini
Che strana e stimolante definizione, “Human Retail”. Significa certamente definire e approfondire l'esperienza di acquisto di un prodotto o di un servizio l'attraverso la relazione attiva tra le persone. E sappiamo che il punto di vendita è e rimane il teatro ideale dove questa relazione viene esibita e messa in scena.
Tornare ad alimentare con forza e consapevolezza questo rapporto significa ridare al retail un ruolo sociale di coesione nel territorio in cui il punto vendita opera. Un ruolo che la pandemia ha evidenziato come necessario e non più sostituibile. Le luci sempre accese delle insegne della Distribuzione Moderna hanno davvero rimesso al centro del nostro mercato l'uomo con tutte le sue esigenze e tutti i suoi bisogni. Human retail significa dunque definire prima di tutto un' esperienza "a misura d'uomo" nel processo di vendita e acquisto, un’esperienza capace di ascoltare però anche molto altro. E la misurazione del successo è data dalla qualità e dal valore della relazione tra le persone.
Ma questo non basta.
La transizione digitale sta portando velocemente delle opportunità rivoluzionarie e di sistema che stanno "trasformando" tutto il settore. Lo stanno facendo velocemente. Forse troppo velocemente. Parliamo ad esempio della gestione dei dati, dell'uso dell'intelligenza artificiale, della spesa on line e delle commodity logistiche sempre più veloci che ne stanno determinando il successo. Questi sono solo esempi della smaterializzazione della relazione fisica mediata dal digitale che sta cambiando dunque anche la relazione tra prodotto e consumatori, tra servizi e utenti. Si dirà che è sempre stato così. Il progresso ha sempre cambiato strumenti e marcati. Ed è vero. Ma non è mai successo nella storia dell’umanità che tutto questo avvenisse con questa velocità. Tutto cambia
Ma in meglio o in peggio?
Difficile dare una risposta assoluta. I momenti di transizione lasciano sempre tre puntini di sospensione... E i puntini di sospensione definiscono anche nella punteggiatura i dilemmi e le contraddizioni del nostro tempo. La tecnologia già oggi ci consente di fare tutto quello che immaginiamo. Domani sarà capace di fare anche tutto quello che oggi non immaginiamo. Non ci sono limiti apparenti. Eppure il tema del limite è quello che abbiamo il dovere di tracciare.
Partiamo dai dati. La loro raccolta ci consente di governare milioni di informazioni. Ci danno un livello e un potere di conoscenza enormi rispetto ai desideri dei clienti. Vengono usati solo per aumentare la capacità commerciale di chi li possiede? Per incrociare tra di loro acquisti di prodotti e vendita di servizi? Per evidenziare nuove tendenze di mercato? O per comprendere davvero bisogni ed esigenze di chi sceglie ogni giorno cosa comprare e in che modo farlo? Oppure ci possono a aiutare a capire come combattere meglio la battaglia contro lo spreco alimentare o effettuare vere campagne di educazione alimentare per trasformare il consumo in esperienze di benessere? O più semplicemente per evitare inutili sprechi ad esempio attraverso l'analisi delle date di scadenza delle etichette dei prodotti? La spesa on line è solo una rincorsa olimpionica stile Jacobs a chi arriva prima a casa nostra o può connettere meglio i bisogni, esigenze e desideri di ciascuno con la capacità di comprenderli e aiutarli? E ancora, l'intelligenza artificiale è un supporto sostitutivo dell'intelligenza umana o può aiutare a generare e gestire meglio le relazioni tra le persone?
Noi oggi sappiamo che i nuovi punti vendita sono progettati per invogliare i clienti a trascorrere quanto più tempo possibile all’interno dello store e sentirsi parte di qualcosa di grande, unico e ineguagliabile. Se mettiamo davvero l'uomo al centro e lo misuriamo per la capacità che ha di descrivere e comunicare bisogni e desideri allora l'Intelligenza artificiale è una forma di innovazione che attraverso la Realtà Virtuale e la Realtà Aumentata, può fornire gli strumenti necessari per migliorare l’efficienza dei servizi e creare un ambiente, o per meglio dire un ecosistema, in cui fornire esperienze quanto mai simili a ciò che siamo abituati a vivere normalmente. Se soddisfiamo attraverso la tecnologia quella che oggi i sociologi chiamano attitudine verso il New Normal allora siamo dentro i confini dell'Human Retail. Altrimenti superiamo il limite. I professionisti della vendita hanno ancora il compito di intercettare i bisogni dei clienti osservando attentamente il loro comportamento. Nessun avatar potrò farlo meglio di loro.
Ascolto. Risposte.
Possiamo sostituirli?
Domande, domande, sempre domande…
In altre parole è vero che non sempre l'esperienza fisica è umanamente accettabile o che l'esperienza digitale sia per forza di cose solo virtuale. Si parla di umanesimo digitale proprio per compiere un passo in avanti simbiotico nella relazione. Il metaverso oggi rappresenta certamente una nuova frontiera non sostitutiva però di altri “mondi”. La risposta giusta è sempre l'omnicanalità. Essere sempre noi con la nostra identità attraverso tutti i canali di contatto possibili.
Tradizionali. Digitali. Perché la nostra identità è la somma di tante identità diverse. Nessun facile entusiasmo digitale potrà sostituirci completamente Siamo sempre noi quando parliamo con qualcuno o ci chattiamo. Quando interveniamo a un convegno, pubblichiamo un post su Linkedin o Facebook, diamo dei consigli ai nostri figli o mandiamo una mail. E siamo sempre noi quando decidiamo di comprare un prodotto o un servizio. E decidiamo di farlo con consapevolezza.
Ci aiutano sempre le tre dimensioni della sostenibilità, sociale, ambientale ed economica. Sono la mappa, la bussola, il fine che giustifica i mezzi. E la sostenibilità non è mai un traguardo ma una ricerca costante di equilibrio. Lo Human Retail è il campo da gioco, lo strumento che ci aiuta a definire i contenuti di questo equilibrio definendo il limite e le regole del significato più profondo e aggettivante della definizione 'a misura d'uomo’.
Chiediamo al digitale di aiutarci a restare umani.
E saremo più felici.