Un piacere personale, un rito sociale e un gesto di benessere. Vi raccontiamo il buono e il sano di un’abitudine irrinunciabile che accompagna le nostre giornate.
di Claudia Ceccarelli
Con circa 2,5 miliardi di tazze consumate ogni giorno a livello globale, il caffè è la seconda bevanda più bevuta al mondo, dopo l’acqua. Irrinunciabile per gli italiani, che per quasi il 95% lo bevono abitualmente, con una spesa media annua pro-capite di 260 euro, in cui trovano spazio il consumo domestico (92%) e quello al bar (72%). Ma il caffè non è soltanto una bevanda. Fin dal suo apparire in Europa, tra ‘600 e ‘700, il gusto aromatico e intenso del caffè si è da subito intrecciato con il piacere della conversazione e dell’incontro, con la nascita, sulla scorta della tradizione turca, di Botteghe frequentate da persone di classi sociali anche diverse.
Secondo Coffee Monitor, Osservatorio social monitoring di Nomisma, il caffè espresso continua a evocare nell’immaginario dei consumatori momenti di relax (53%), un piacere (47%), e al contempo un rito sociale e una tradizione (37%). Ed è un dato riconducibile all’esperienza di ciascuno che davanti a una tazzina di caffè si possano delineare accordi, soluzioni e nuove prospettive, molto più spesso che non in situazioni più codificate e formali.
Il caffè rappresenta una delle primarie fonti di ricchezza per i Paesi che lo coltivano, tutti compresi in quella fascia tropicale equatoriale chiamata Coffee belt (cintura del caffè). Racchiusa tra il Tropico del Cancro e il Tropico del Capricorno, ne fanno parte Paesi come Brasile, Etiopia, Guatemala, Colombia, Costarica, Salvador, Perù, Messico, Galapagos, India, Giamaica, Kenya, Papua Nuova Guinea, Portorico, Indonesia, Panama, Cuba, Honduras, Nicaragua, S. Elena, Tanzania, India, Uganda e Giava. Nel complesso sono più di 120 milioni le persone che traggono sostentamento dalla coltivazione, lavorazione e distribuzione del caffè.
Non mancano le criticità, legate soprattutto alla tutela dei diritti dei lavoratori, spesso donne e spesso sottopagate, e a pratiche agronomiche che mettono a rischio l’ambiente e le risorse naturali, soprattutto idriche. La crisi climatica, la carenza di acqua e la tutela della biodiversità e fertilità dei suoli, minacciati dalle monocolture intensive e da metodi di coltivazione troppo aggressivi, sono fattori che rappresentano altrettante sfide cruciali per l’intero mondo del caffè, a cui le aziende più avvertite e sensibili stanno rispondendo con la garanzia di una tracciabilità certificata sul piano della sostenibilità ambientale e sociale della produzione, oltre che della qualità.
Esistono diversi tipi di caffè, ma due sono le varietà principali: quella Arabica, detta anche caffè di montagna, più delicata e aromatica, e quella Robusta, più corposa e dalla resa produttiva maggiore. Tranne i pregiati 100% Arabica, il mercato offre soprattutto miscele tra le due varietà in proporzioni variabili per raggiungere differenti risultati di corpo e gusto.
Ma soprattutto un caffè deve essere di buona qualità, sia perché così costituisce un’esperienza gratificante del palato sia perché, se consumato nella giusta quantità, può diventare una fonte di benessere. All’elevata qualità della miscela utilizzata per prepararlo corrisponde, infatti, una minore quantità di caffeina, dell’ordine anche del 60% di meno nell’Arabica rispetto alla varietà Robusta.
Per esplicare i suoi benefici per l’organismo, la caffeina non deve superare in media i 400 milligrammi al giorno (in una tazzina di espresso ne troviamo dai 50 ai 70 mg, in una di caffè moka fino a 120). In questo modo, il suo effetto sarà stimolante, tonico, energetico, digestivo e saziante. In quantità eccessiva, invece, potrebbe provocare bruciore di stomaco, ipertensione, insonnia, o interferire con l’assorbimento di ferro dagli alimenti.
E circa la controversa questione dello zucchero nel caffè? Una risposta definitiva è difficile da dare. Innanzitutto, nel caffè c’è già una piccola quota di zucchero, ed è proprio questa che “caramellizzandosi” durante la tostatura conferisce il caratteristico colore bruno al chicco. Sta alla bravura del mastro torrefattore individuare la temperatura in cui il caffè può rivelare tutta la sua ricchezza e la dolcezza aromatica. “Perché, quella, poi, è la cosa più difficile: indovinare il punto giusto di cottura, il colore... A manto di monaco... Color manto di monaco”, dice Eduardo de Filippo, nel famoso monologo sul caffè della commedia Questi fantasmi.
Se la scelta di zuccherare il caffè corrisponde al gusto personale, il consiglio è quello di riservarsi sempre la possibilità di assaggiarne un sorso senza zucchero. Un modo per imparare a cogliere il profilo sensoriale più autentico del caffè che si gusta.
A ciascuno il suo caffè: alcuni metodi di estrazione alternativi
La Moka, l’Espresso al bar e le cialde costituiscono i modi più diffusi per preparare il caffè in Italia. Ma negli ultimi anni si stanno affermando anche altre tecniche per preparare il caffè, legate alle abitudini di consumo di altri Paesi.
Caffè filtro: l’acqua calda viene versata su un filtro di carta contenente il caffè e per percolazione si ottiene una bevanda delicata, molto diffusa in particolare negli Stati Uniti e nel Nord Europa.
French press: sistema per infusione, in cui il caffè viene posto in acqua bollente all’interno di una cafetière francese, costituita da un bricco di vetro in cima al quale si trova uno stantuffo che, scendendo, filtra l’infuso separandolo dal fondo.
Cold drip: di tradizione giapponese, è una tecnica di estrazione a freddo grazie a una specie di alambicco di distillazione che richiede fino a 12 ore di preparazione, per una bevanda molto dolce e quasi priva di acidità.