Viaggio alla scoperta di un autentico patrimonio spesso invisibile al turista poco attento: il saper fare artigiano che sposa la tradizione con l’innovazione, la bellezza e l’attitudine alla sostenibilità.
di Paolo Marcesini
foto di Luca Casonato
Più bello del Salento c’è solo quello che il Salento sa fare. Poi è vero che il Salento è mare, natura, accoglienza, gioia di vivere, mangiar bene, arte, cultura. Ma questa frase ha iniziato a tormentarmi mentre rientravo da uno splendido viaggio alla scoperta della Puglia che non ti aspetti. Ospite del Tour dell’Abitare, accolto con sapienza dall’Agenzia del Turismo Pugliapromozione per vedere e raccontare una terra autentica e contemporanea attraverso un tour proposto e ideato dall’Associazione datoriale Confartigianato Imprese Lecce, ho scoperto un autentico patrimonio spesso invisibile al turista poco attento. È il patrimonio del saper fare artigiano che sposa la tradizione con l’innovazione e l’attitudine alla sostenibilità. Perché da queste parti il saper fare è soprattutto una questione di rispetto che si deve a chi c’era prima di noi e a chi verrà dopo. In mezzo c’è il lavoro e il senso di gratitudine verso la bellezza che solo quella terra riesce a donarti. Ho chiesto spesso se potevano fare le cose che facevano da qualche altra parte. Tutti mi hanno risposto di no. La qualità è anche una questione di appartenenza.
Trovi lo stesso sentimento diffuso nelle più significative botteghe storiche salentine e dentro le più recenti esperienze di design artistico: dall’arte delle luminarie che creano le cosiddette “Cattedrali della Luce” a Taurisano, e che hanno ridotto del 90 per cento il consumo di energia senza rinunciare allo splendore della luce che illumina di meraviglia le piazze, fino ai Maestri della cartapesta di Gallipoli, che lavorano la cartapesta per scrivere pezzi di storia colorata del loro carnevale, e soffrono un po’ la crisi dell’editoria perché giornali da recuperare ce ne sono sempre meno e la carta spesso devi comprarla al macero. E i piccoli mosaici che recuperano anche le pietre più piccole, le schegge, la polvere. Perché nell’infinitamente piccolo c’è l’infinitamente bello. E nulla deve essere sprecato.
E cosa dire della lavorazione del legno e dell’arte antica dei mosaici a Parabita dove, in pochi metri, scopri generazioni diverse che hanno interpretato i mille linguaggi del legno, che quando diventa immensamente sottile si trasforma in colore, espressione, racconto, luce e vita. Poi mi sono fermato a guardare con ammirazione e gratitudine l’esperienza del laboratorio di cotone, seta, lino, cashmere de Le Costantine, dove centinaia di donne hanno superato la fragilità del loro destino attraverso la dignità di un lavoro e una fondazione che le accoglie, e le ceramiche a Cutrofiano che, malgrado il costo del gasolio, non hanno spento i loro forni per costruire oggetti in terracotta da offrire ai visitatori i quali, prima di partire, vogliono portarsi a casa un pezzo di paesaggio.
Ovunque vedi la pietra leccese che viene estratta nel pieno rispetto del paesaggio, pensando alla rigenerazione della cava, trasportando materia dalla terra alla luce per il benessere del vivere e dell’abitare in tutte le manifestazioni creative storiche del costruito dall’uomo, dallo splendore barocco leccese del centro storico alle pajare, che trovate un po’ ovunque in campagna, le antiche costruzioni contadine usate per far essiccare il raccolto, trovare riparo nelle ore più calde dal sole cocente, dormire quando il lavoro dei campi obbligava a restare fuori casa. Perché anche la bellezza di quella pietra è, prima di tutto, un linguaggio da imparare che racconta la gioia di vivere una terra che devi scoprire in punta di piedi. Quando vieni qua, devi dimenticare la tua identità, non puoi essere solo un turista, diventi un vicino di casa temporaneo, un ospite gradito che diventa parte della comunità. Il Salento lo devi vivere così, altrimenti rimane nascosto.
Come nel Comune di Presicce - Acquarica, ad Acquarica, quando ho visitato il Museo del Giunco gestito dalla Pro Loco Acquarica. La costa più vicina qua è quella ionica. Veronica mi racconta con passione la storia dei giunchi tagliati nelle paludi di quel mare da uomini antichi e lavorati dal sorriso e dalle mani di donne ritratte in bianco e nero. Venivano bolliti, essiccati, lavorati. Poi tornavano in mano agli uomini che li andavano a vendere in spiaggia. Era un lavoro di tanti. Una di quelle donne è sua nonna. Me la fa vedere in una vecchia foto. Sorridente come lei.
Intorno a me ceste, borse, vassoi, sacche, portapane, una fustella per fare il primo sale. Intanto fuori Anna sta intrecciando un sole. Lei è tornata dalla Germania per dare forza alla sua idea di moda accompagnata dagli accessori in giunco: "Un omaggio alle tante donne che hanno creato bellezza senza saperlo e senza che nessuno dicesse loro grazie". Non so perché mi viene in mente Simenon. A chi lo andava a trovare a Ginevra regalava spesso una sua firma dove disegnava un grande sole giallo.
Prendo con gratitudine il sole tessuto dalle mani di Anna. Di sicuro troverò il modo di metterlo nel trolley con estrema cura. La lingua della sostenibilità parla anche il vocabolario di un giunco di palude che le mani di una donna hanno trasformato in sorriso.
Anche questo è il Salento.
Luca Casonato (1977), dopo la laurea, completa la sua formazione come assistente di Gabriele Basilico. Affianca all’attività di fotografo professionista una costante ricerca artistica rivolta alla rappresentazione del frammentato paesaggio contemporaneo e all’estetica dell’ingegneria.