UN RITO FAMILIARE, UN PICCOLO CAPOLAVORO DI SAPORI E DI PROFUMI CHE SI RIPETE OGNI VOLTA, UN MODO TUTTO ITALIANO PER PRENDERSI CURA DELLE PERSONE PIÙ CARE.
di Claudia Ceccarelli
I profumi che dalla cucina si spargono per tutta la casa. Segno, forse non tangibile, ma certo molto concreto, che è domenica e mangeremo qualcosa di buono, anzi di prelibato. Quel qualcosa che, cucinato così, con quell’aroma, quel gusto e quella consistenza, conosciamo soltanto noi. E i nostri cari, e i nostri amici più cari. Una ristretta cerchia comunque, il nostro pranzo della domenica è un privilegio raro, di cui andare orgogliosi e da conservare anche un po’ gelosamente tra le mura domestiche. Un “lessico famigliare” a cui tutti siamo legati e non possiamo dimenticare, dedicando spesso gran parte del nostro impegno in cucina a ricreare quella alchimia unica di sapori. Un capolavoro che non può che porsi fuori dall’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica. Semplicemente perché, per “rifarlo”, occorre ogni volta quella precisa ricetta, quella mano e il famoso segreto di bottega che ogni famiglia sa di custodire in esclusiva per raggiungere l’armonia e la sua forza evocatrice.
È la piccola magia descritta da Marcel Proust a proposito della petite madeleine: “Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita… non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale.”
Il rito del pranzo della domenica rende questa magia un’abitudine e non un evento improvviso, e la sua ripetibilità, in compagnia, diventa certezza, fiducia, condivisione e augurio di una buona sorte comune. In questo risiede il valore più profondo del cucinare riscoperto durante il lockdown: un segno di radicamento, ma, soprattutto, un gesto creativo di resistenza.
“Che sia un pranzo in famiglia, con gli amici di sempre o anche solo a due, sarà comunque un’occasione per mescolare il buon cibo alla conversazione, alle risate, ai ricordi e ai progetti futuri”, dice Barbara Toselli ne Il pranzo della domenica (ed.Gribaudo), in cui racconta le domeniche che più sentiamo ”nostre”.
Il pranzo della domenica prende forma dalla tradizione. E nel nostro Paese, più che in qualsiasi altro, questo è garanzia di qualità e buona cucina. A partire dagli ingredienti, che per l’occasione vengono preferiti freschi, legati alla stagionalità, e soprattutto made in Italy, ancora meglio se di produzione locale.
"Il pranzo della domenica prende forma dalla tradizione. E nel nostro Paese, più che in qualsiasi altro, questo è garanzia di qualità e buona cucina"
E poi cura, sapienza e tempo. Per cucinare il pranzo della domenica bisogna avere tempo, uno dei primi ingredienti che lo rende davvero speciale. Tempo per prepararlo, ma anche per gustarlo, sia che lo si proponga nella versione più semplice sia che si voglia (e si possa) concedersi un menu ricco e vario, che comincia dall’antipasto per finire con il dolce. E allora si parla di pasta fatta in casa, di sughi cotti a fuoco lento, e ancora di arrosti e polpettoni, accompagnati da patate in ogni forma oppure da insalate, e, per concludere, un dolce classico, come la torta di mele e la crostata, oppure le paste fresche acquistate dal pasticcere di fiducia e, nella stagione calda, il gelato.
Se la tradizione a tavola è rispettata in tutte le regioni, non mancano i fattori innovativi, con sempre più uomini che si dedicano alla preparazione del pranzo della domenica o almeno di una sua pietanza (il famoso “cavallo di battaglia”). Anche se la pasta fatta in casa spesso era già appannaggio maschile, soprattutto nelle dimensioni eroiche delle feste comandate. C’è comunque una costante: i giovani, pur amando sempre più la convivialità della cena, continuano a considerare il pranzo del giorno di festa il momento privilegiato della riunione familiare.