L’AUGURIO PIÙ BELLO CHE POSSIAMO FARCI PER USCIRE DA QUESTO MOMENTO TERRIBILE, DOLOROSO E DIFFICILE È “CANTATO” DALL’ULTIMO VERSO DELL’INFERNO DELLA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI DI CUI CELEBRIAMO QUEST’ANNO IL SETTIMO CENTENARIO DELLA MORTE.
di Paolo Marcesini - Direttore responsabile VéGé per Voi
È ancora notte. Dante e Virgilio guardano il cielo stellato. Sono stanchi ma felici. Hanno abbandonato le tenebre dell’Inferno e stanno finalmente per intraprendere un nuovo cammino fatto di luce e di speranza. Perché dall’Inferno alla fine si esce.
La velocità con cui questo maledetto virus si è spostato da un capo all’altro del mondo è stata spaventosa. Non esistono muri, confini, leggi o ideologie che le possano fermare. E con il virus è arrivata la paura, il sospetto, il complotto. Abbiamo rischiato non solo la malattia del corpo ma anche l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, ci siamo sentiti minacciati da un nemico invisibile che poteva essere ovunque, nel lavoro, per strada, in un negozio, al ristorante e persino nell’intimità della nostra famiglia.
Che brutta parola il “distanziamento sociale”.
Eppure abbiamo combattuto, e stiamo resistendo. Tutti abbiamo compreso il significato più profondo della parola resilienza. “Per realizzare grandi cose, non dobbiamo solo agire, ma anche sognare; non solo progettare, ma anche credere”. Lo diceva quel vecchio, barbuto ed elegantissimo scrittore che rispondeva al nome di Anatole France. Marcel Proust lo adorava e André Gide lo imitava. Oggi sappiamo che il futuro esisterà solo se sapremo costruirlo. “È una bella prigione, il mondo”, scriveva William Shakespeare. Lui era un genio compreso, noi dobbiamo solo ricordarcelo più spesso.
"Per realizzare grandi cose, non dobbiamo solo agire, ma anche sognare; non solo progettare ma anche credere"
Torneremo a vivere le emozioni, a teatro, al cinema, nelle piazze di un Festival, a comprare i biglietti per un concerto, a vedere una partita allo stadio, a passeggiare in centro solo per vedere le vetrine illuminate.
Torneremo a scuola, all’università, “in presenza”, a uscire di casa come e quando vogliamo, a viaggiare, a correre, a volare, a spostarci senza sapere se siamo rossi, gialli o arancioni e senza autocertificazioni.
Torneremo a organizzare le feste di compleanno dei nostri bambini e i nostri figli potranno di nuovo giocare con i loro amici e andare a trovare i loro nonni.
Torneremo a scuola, all’università, a organizzare eventi “in presenza”, a dire con forza che il distanziamento sociale è stato necessario, ma che dovevamo chiamarlo in un altro modo perché così è stato proprio brutto da dire.
Torneremo insieme perché mai come oggi sappiamo che non possiamo farcela da soli e per questo abbiamo sventolato la nostra bandiera e cantato dai balconi che il cielo è sempre più blu, ci siamo dati da fare per aiutare chi non poteva aiutarsi e abbiamo provato a non abbatterci e a sorridere sempre e comunque, anche quando avevamo gli occhi gonfi di lacrime.
Torneremo a vivere senza paura, senza dover leggere bollettini sanitari e dpcm, prendendoci cura dei bisogni degli altri, nessuno escluso.
Torneremo a lavorare. E questo è un augurio importante, decisivo, necessario.
Torneremo a trovare i nostri cari, e non importa se abitano lontani e fuori dal nostro comune o dalla nostra regione. Se stanno poco bene potremo prenderci cura di loro, anche se sono ricoverati perché la solitudine in ospedale è proprio triste.
Torneremo a prendere l’aperitivo all’ora dell’aperitivo, il caffè seduti al tavolo di un bar senza controllare l’orologio, ad invitare a cena gli amici senza fare i conti su quanti siamo a tavola, a progettare i nostri fine settimana in montagna, al lago o al mare.
Torneremo ad abbracciarci e a stringere le mani. Torneremo a sorridere perché con la mascherina se siamo felici si vede poco.
Torneremo a innamorarci di un dettaglio, un gesto involontario, una piccola eccezione. Perché ci si innamora di un’idea che diventa progetto e di un niente che diventa tutto, ma ci si innamora in silenzio perché abbiamo bisogno di ascoltare e durante la pandemia c’era troppo rumore per sentire.
Torneremo a festeggiare il Natale, la Pasqua, il Capodanno, il Carnevale, le comunioni, i battesimi, i matrimoni, le lauree, la maturità.
Torneremo. E facendolo progetteremo un mondo migliore, un mondo più bello, un mondo più giusto.
IL FUTURO ACCENDE LE STELLE DI BERGAMO CON UNA BELLISSIMA INSTALLAZIONE DI EDOARDO DE COBELLI.
Bergamo e Brescia insieme nel 2023 saranno Capitale Italiana della Cultura. Le due città colpite così duramente dal Covid 19 attraverso la cultura saranno un esempio concreto e straordinario di unità, coesione sociale e di solidarietà. Proprio mentre il governo prendeva questa decisione si è accesa a Bergamo la scritta allestita negli spazi intimi della cisterna del XII secolo che riprende l’ultimo verso dell’Inferno di Dante. L’istallazione di Edoardo De Cobelli che l’ha ideata e realizzata in collaborazione con il Comune è il messaggio più bello per guardare al futuro con fiducia e insieme la voglia di costruirlo. Edoardo De Cobelli (classe 1992) è critico d’arte e curatore.